ALBORI | NASCITA | RINASCIMENTO | BAROCCO | OTTOCENTO | NOVECENTO |
Prefazione |
La camicia è uno degli indumenti più antichi
che ha subito più variazioni nel corso dei secoli restando, però,
sostanzialmente, sempre uguale nell’impostazione di fondo. E’ per questo che
è sempre stata, e presumibilmente continuerà ad esserlo, il capo più
importante nel guardaroba maschile. |
GLI ALBORI DELLA CAMICIA |
Anche la camicia ha avuto un’antenata: è la
tunica romana (tunica interior) di lino, nel suo colore naturale, provvista di
maniche, che appare in Roma nei primi anni del III secolo d.C. Si tratta di un
indumento ampio, fermato da una cintura e che si indossa direttamente sulla
pelle infilandolo dalla testa.
Già alla fine del VIII Secolo, nel lascito del
Patriarca Fortunato ai suoi chierici di Grado, si parla di camicas et bragas.
E così il termine camicia è entrato nel lessico e nelle abitudini dell’uomo.
I crociati, poi, importano dall’Oriente il camis, usato dai persiani,
con le maniche tagliate separatamente e cucite al corpo nei due spacchi
verticali, alla fine della scollatura, che diverrà la struttura definitiva
della camicia. |
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IL RINASCIMENTO |
Anche nel periodo rinascimentale, le fonti in
grado di fornire informazioni sull’uso della camicia sono gli inventari ed i
testamenti nei quali è possibile trovare descrizioni delle fogge, dei tessuti e
degli stili più in voga. A partire però dal Trecento, ci vengono in aiuto
anche le fonti iconografiche. E accanto a queste vanno citate opere letterarie
che, denunciando la stravaganza della moda del tempo, hanno tramandato la
descrizione d’abiti e comportamenti che sarebbero per noi rimasti ignoti. Il
Boccaccio, per esempio, nel Decamerone descrive uomini e donne sorpresi in
camicia in situazioni piccanti, mentre nel commento della Divina Commedia
deplora l’indecenza di certi modi di vestire dei giovani. Il motivo dello scandalo sta nel fatto che la
camicia, che sino al secolo scorso aveva rappresentato il capo base per gli
uomini, si è sempre più accorciata aderendo al busto ed ai fianchi, chiusa da
una lunga fila di bottoni, cosicché le gambe e le cosce, rimaste nude del
tutto, sono state coperte da aderentissime calze-brache, che, allacciate sotto
il farsetto, mettono in risalto le parti del corpo maschile ritenute
indecenti. Con la crescente agiatezza, il lusso diventa una
forma d’ostentazione sociale soprattutto nell’abbigliamento e, di
conseguenza, la camicia aumenta la sua presenza nei corredi personali
impreziosendosi sia nella struttura, sia negli ornamenti. Si utilizzano tessuti
sempre più leggeri, si allargano le maniche e, per mezzo di teli inseriti nei
fianchi, aumenta l’ampiezza della camicia, trattenuta allo scollo e all’attaccatura
delle maniche con pieghe piatte e arricciature più o meno fitte. Il bordo delle
maniche e lo scollo, allacciati da cordoncini o nastri di tessuto, si ornano di
fregi e ricami. Con gli scambi commerciali che favoriscono
incontri sempre più frequenti tra i diversi paesi d’Europa, tutti produttori
di una vasta gamma di tessuti, è la camicia l’indumento al quale si destinano
quelli più particolari e fini. Anche le forme delle camicie cominciano a
differenziarsi nei vari paesi, cosicché troviamo citate nel XIII e XIV Secolo
camicie francesche o camicie ad modum francorum e camicie con
maniche larghe alla catalana. |
IL BAROCCO |
I punti di cucitura Se l’abito non fa il monaco, la camicia fa il signore. Ed è proprio nel Settecento che tale affermazione trova pieno riscontro, poiché, impeccabile nel candore e nella stiratura, morbida nei tessuti e voluttuosa negli ornamenti, la camicia è perfetta per il ruolo leggiadro voluto dallo stile rococò. Nella prima metà del 1600, i cambiamenti più rilevanti per la camicia, divenuta oramai un capo d’abbigliamento autonomo, avvengono nel campo della lavorazione. In essa, confezionata con gli stessi tessuti e impreziosita da collari ricamati di fili d’oro o di ricami fatti a mano, s’insiste su i più svariati punti di cucitura ad ago: spilatura, mezza arca, scherzo, rizzo, arca, sole. Ma anche i ricami ad ago diventano sempre più di moda e nelle più sperdute località dell’Italia meridionale, e persino nei conventi di clausura, nel tentativo di imitare il punto in aere che aveva resa famosa Venezia, si eseguono ornati di punto spagnolo, trovato, africo, tondo, ombrato, castiglio. Intorno al 1630, solo per l’abbigliamento maschile, è adottato un nuovo termine: il vestito. Esso si compone dei calzoni alla spagnola, gonfi di pieghe, stretti al ginocchio da nastri e coccarde e chiusi di fianco da una lunga bottoniera, dal giubbone e dalla casacca. Il giubbone, sempre più corto, è portato aperto in modo da mostrare la camicia, perché gli uomini " vogliono che si sappia c’hanno la camicia di lino finissimo". Anche la casacca, svasata, lunga fino alla coscia ed arricchita di abbottonature e ornamenti, accorcia sempre più le maniche per mettere in risalto quelle della camicia, che, a loro volta, divengono sempre più ampie e lunghe, dai polsi ricascanti in alte gale trattenute sul braccio da fiocchi e nastri in tinte contrastanti con il giubbone e la casacca. D’altro canto, in questo primo quarto di secolo, la collaretta, perso l’aspetto di "mensola ornata", spesso bordata di pizzo o tutta di pizzo, si adagia sul busto ricoprendo le spalle e si apre sul davanti in due baveri squadrati. Continuando nella sua evoluzione, verso la metà del XVII secolo, il collo comincia a perdere d’importanza, spostandosi in avanti e cadendo in due lunghi baveri ornati di pizzo: è il collo detto a rabat indossato, ancora oggi, dai pastori protestanti. A dimostrazione dell’importanza che in questo secolo aveva assunto la camicia, ci piace ricordare quello che avveniva alla corte di Luigi XIV, salito al trono di Francia nel 1643. In questo periodo in cui i regni estendevano i loro domini anche al di là dell’Atlantico, i Re di Francia avevano intuito che, per tenere sottomessi gli aristocratici, bisognava assuefarli al lusso della corte e alla corsa dei privilegi. In questo modo i cortigiani si impoverivano sempre di più per reggere al passo del fasto della corte e per ottenere i favori che il Re concedeva loro per legarli a sé. E appunto in questa vicenda, la camicia ebbe un ruolo molto importante. Uno dei momenti più intimi della corte era "il laver du roi". La vestizione di Luigi XIV divenne una vera cerimonia quotidiana: al risveglio del sovrano, nella stessa camera da letto, ad un nobile di rango veniva fatto obbligo e concesso l’onore di presentare la camicia che il Re doveva indossare in quel giorno. Egli così si affrancava, almeno per quella giornata, dal tradimento di chi aveva svolto questo incarico. Il punto di Francia Riprendendo la storia dell’evoluzione della camicia, avevamo già notato che, oltre ai punti di lavorazione, grande importanza hanno avuto nell’inizio del XVII secolo i ricami, che rappresentano il completamento indispensabile per sottolineare l’eleganza maschile. La concorrenza in questo campo tra la Francia e l’Italia si fa sempre più spietata al punto che, nel 1625, Luigi XIV tenta di far brevettare, ma senza successo, il "punto di Francia". Nel 1669 il ministro Colbert fa arrivare segretamente a Parigi un gruppo di merlettaie veneziane che vengono sistemate ad Alençon. Ben presto ne seguono altre a Chantilly, Sedan e Reims, dove la produzione assume caratteri di originalità in concorrenza con Venezia. Nasce così, finalmente, "il punto di Francia" ed è subito un successo. A nulla valgono i vari tentativi del Senato Veneto volti a contrastare il trasferimento delle merlettaie venete in un paese straniero; si ordina alle stesse di tornare in patria promettendo loro il perdono, si imprigionano i parenti, si incaricano emissari persino di ucciderle, ma il decreto del Senato, nonostante la sua durezza, non fornisce il risultato che si prefiggeva. La moda francese La Francia, quindi, esporta in tutta Europa i più bei pizzi per camicie, cosicché è la moda francese a fissare i canoni dell’eleganza in campo maschile e femminile: "L’abit a la francaise" arriva a Venezia con il nome di velada, a Milano diventa marsina, a Napoli è noto come giamberga. L’abito in questione è la giacca seicentesca a falde squadrate avanti e dietro, abbottonata dal collo al bordo inferiore, che si indossa aperta per mostrare la camisiola un gilet lungo e ricamato, e la camicia. I calzoni, dello stesso tessuto della marsina, diventano più aderenti, fermati al ginocchio da fibbie e bottoni. La moda di questi anni, che si ispira allo stile di vita di Parigi e Napoli, si arricchisce delle famose sete di Lione, broccati dai toni delicati, fioriti e arabescati, mentre le maniche della camicia, grazie a ricchi manichetti di pizzo applicati ai polsi, si allungano sempre di più. La passione dei pizzi e delle trine primeggia fino alla rivoluzione francese. Erano così abbondanti che sembravano racchiudere in una vaporosa schiuma metà dell’avambraccio. Il gusto per questo ricercatissimo ornamento, che per molti era una spesa insopportabile, tanto che a Venezia si usava dire che "quel che non va in busto va in manega", si era trasformato in una passione sfrenata per cui anche gli uomini più compassati come gli austeri magistrati non si sottraevano a questa debolezza, riservando per i merletti sino a 15.000 o 20.000 livus. Intanto la cravatta, apparsa all’inizio del secolo al collo dei soldati prima e dei gentiluomini poi, offuscata per breve tempo a cavallo del XVII e XVIII Secolo dallo jabot realizzato in pizzo, in mussola di lino pieghettata o in seta arricciata, bordato di trina, fissato al collo con un nastrino o con una spilla e ricadente in morbidi volants, modifica il colletto della camicia che diventa una pistagna attorno alla quale si avvolge con un solo giro alla Steinkerque, oppure con più giri, una "sottilissima benda", come la definisce Parini, ricadente sul petto in una cascata di merletti. La camicia e l’igiene Da quando la camicia è comparsa nella storia dell’abbigliamento, anche il galateo l’ha sempre accompagnata, stabilendo il suo uso a seconda delle diversificazioni sociali, ambientali e, soprattutto, igieniche. Come già in precedenza accennato, la pulizia corporale era tenuta in scarsissima considerazione, nonostante i precetti del galateo, per cui la camicia che sembrava proteggere la pelle dalle vesti, in realtà proteggeva queste da quella. Le preziose stoffe degli abiti rinascimentali erano riparate con la camicia dalla pelle sudicia del corpo mal lavato. A parte le ben note terme romane, esistevano nel Medioevo, i bagni pubblici chiamati "stufe". Erano bagni di vapore corredati di tinozze dove, coperti da camicioni lunghi fino ai piedi, con o senza maniche, chiamati camicie da bagno, potevano accedere tutti, volgo o patriziato, naturalmente a ore e giorni diversi. All’inizio del XVI Secolo le stufe pubbliche vennero chiuse, sia per ragioni igieniche, per evitare un possibile contagio di pestilenze, sia per ragioni morali. Ancora nel 1672 un gentiluomo inviava alla sua donna in Germania un pacco di sapone allegando, per sicurezza, le istruzioni per l’uso. E così le camicie ricche, ricamate e ingioiellate, per coprire i cattivi odori personali, anziché usare la semplice acqua, divennero profumatissime, usando profumi di ogni genere. I risultati, però, sembrano essere stati quasi nulli se la marchesa di Verneuil, favorita di Enrico IV, all’avvicinarsi del Re, girandosi dall’altra parte, esclamava "che puzza!" Già agli inizi del Settecento, con i corredi personali sempre più ricchi di camicie, il galateo prescrive che esse siano bianche, morbide, fresche, mentre i maestri di belle maniere raccomandano ai giovani cavalieri il candore delle camicie e la pulizia del corpo. Per ottenere ciò non c’era che un sistema: lavarsi e lavare le camicie frequentemente. Da uno studio condotto sull’igiene nei primi dell’Ottocento, si afferma che per le istituzioni sociali il bucato è al primo posto. Tuttavia per tutto il XVIII° Secolo, per i più, lavare la biancheria in casa era un’usanza barbara. Per questo la maggior parte dei parigini la inviava in Olanda, patria dell’inamidatura, ritenendo i suoi abitanti più esperti delle lavandaie francesi. Altri invece, come la Duchessa del Tirolo, mandavano le loro camicie a Firenze presso i conventi delle monache, mentre i più raffinati gentiluomini affidavano camicie e colli agli specialisti londinesi. Con le lavanderine olandesi, nostrane e londinesi, ritenute le migliori, nasce, così, un nuovo mestiere. In Francia, alla fine del XVIII Secolo, da questo lavoro artigianale, con l’introduzione del bucato a vapore, importato dall’oriente, dopo i necessari perfezionamenti, si aprono le prime lavanderie industriali dove la biancheria, inzuppata da liscivia, è sottoposta per otto ore all’azione del vapore acqueo. La moda inglese Contemporaneamente all’affermarsi della cravatta, il gilet va man mano chiudendosi abbottonato sul petto ed i polsini si ridimensionano in brevi volant, nascondendo in parte la camicia. Dopo il 1750, lo sfarzoso abit a la francaise è riservato alle grandi occasioni ed è la moda inglese che comincia ad interessare gli uomini. L’ingombrante marsina cede il posto al frac ed alla rendigote, l’inglese riding-coat, abito usato per cavalcare. La vita di città, divenuta più dinamica, comporta abiti più comodi, anche se ancora ricercati nei tessuti e nei colori. Fino al termine del Settecento le informazioni sulla camicia ci sono pervenute accidentalmente da riferimenti iconografici, da brani letterari e da commenti per lo più satirici. Tutto ciò ha comportato che il filo della narrazione storica sia pieno di lacune e d’informazioni contraddittorie, ma, finalmente, da ora in poi la situazione cambia totalmente. Le informazioni sulla moda femminile prima, e quella maschile poi, corrono più veloci grazie alla diffusione dei giornali e delle riviste che partono da Parigi, ma che si stampano anche a Milano e a Londra e, sulle prime riviste riservate alla moda maschile, la camicia diventa un argomento da discutere con competenza. Il "giornale delle nuove mode di Francia e Inghilterra", stampato anche a Milano nel 1786, ad esempio, così descrive i capi maschili: "Abiti di panno color foglia morta, foderati di verde con altissimo colletto di velluto di seta verde naturale, si indossano con camicia guarnita da una larghissima portina e di lunghi manichetti". Sullo stesso giornale, l’anno successivo, si legge: "Abito e giubba di leggero velluto color cedro con pantaloni di seta nera e camicia guarnita di pizzi". "La camicia- continua la rivista- è guarnita di manichetti e di una gala di batista increspata come è di moda in Inghilterra". Mentre sulle riviste di moda l’attenzione si concentra sui particolari, la Rivoluzione Francese spazza via ciprie, ornamenti, parrucche, teste di re e aristocratici condotti alla ghigliottina in maniche di camicia, mentre per le vie di Parigi scorrazzano i sanculotti al grido di libertè egalitè fraternitè, con addosso, sotto il gilet o la carmagnola, una camicia di cotone, con il collo a bavero, senza cravatta e ornamenti di trina. Questo collo a bavero fu detto alla Robespierre non si sa bene se perché era il preferito dal padre della rivoluzione, o se perché, in onore dell’Incorruttibile, il boia lo strappava ai condannati prima di ghigliottinarli. |
La borghesia ed il perbenismo Con la rivoluzione Francese prima, e con l’avvento
della repubblica poi, si assiste ad una trasformazione radicale della moda
maschile. Importata dalla Francia e dall’Inghilterra, la moda anglo-alleman
viene adottata in seguito anche dal resto d’Europa. L’abito di gala o di
spada, anche se di color nero, viene messo da parte: niente più pizzi o jabot,
condannati definitivamente dalle maniche del nuovo frac divenute più strette e
dall’abbottonatura alta dei panciotti, ma, soprattutto, dal senso di pudore
che aveva invaso la società borghese sovrappostasi alla classe degli
aristocratici che aveva dominato il mondo per oltre sette secoli. |
IL NOVECENTO |
I colletti bianchi Il desiderio del ceto piccolo borghese,
specialmente del centro-meridione d’Italia, fu, a partire dall’Unità del
Regno, quello di entrare nell’apparato statale e bancario. La nuova classe
sociale che si andò formando fu detta "dei colletti bianchi". Non si
poteva concepire, infatti, che nei ministeri e nelle banche ci si presentasse
senza giacca e camicia bianca; fu molto facile identificare il "colletto
bianco" con l’impiegato che si muove nel mondo impiegatizio. I primi colori Finalmente, con la fine del secolo e
gli inizi del Novecento, la camicia, che va riconquistando la dignità che le
compete e la funzione più esplicita di capo base dell’abbigliamento maschile,
tanto da far scrivere ad Oscar Wilde (1854 – 1900) " l’eleganza si
concentra nella camicia", abbandona il tradizionale candore bianco e si
tinge delle prime sfumature di colore, grazie anche all’affermazione dei
tessuti di cotone. La camicia protagonista In questo nuovo secolo il ciclo delle
attività professionali e familiari comporta un diverso consumo fra tempo libero
e impegni economici. Mentre la camicia tradizionale, candida e inamidata, con
colletti alti e polsi rovesciati chiusi da preziosi gemelli, indossata dal
borghese con compostezza e sufficienza, resiste sotto il frac nelle occasioni
mondane, nel vestiario usato per la villeggiatura o negli sports s’impongono
modifiche che offrono maggiore comfort e disinvoltura salvando, nello stesso
tempo, il bon ton. Le americane Per i particolari della sua foggia dobbiamo
rifarci alle camicie militari americane della seconda guerra mondiale, vendute
sulle bancarelle a poco prezzo e spesso usate che, nel colorito dialetto
triestino, furono dette "american strassen". I nostri stilisti e
produttori di camicie, subito e volentieri, per la sua praticità derivante dai
molteplici lacci, tasche, taschini, spalline e linguette, la adottarono per la
moda sportiva e poco tempo dopo, rivolgendosi specialmente ai giovani,
sfornarono capi che con l’originale americano non avevano più niente in
comune, ad eccezione della comodità e della varietà d’accessori. La camicia casual Ecco infine la camicia tuttofare, adatta a
mille occasioni, che gli stilisti chiameranno casual o sportswear, stretta
discendente della button down, anche se ammorbidita e alleggerita nella
struttura. Ma la differenza sostanziale è nel collo, dove, spariti i bottoncini,
si allunga, si allarga, si allontana dal primo bottone dell’allacciatura o
addirittura si elimina. Prende nomi diversi sotto l’influenza degli eventi
politici e sociali del momento. Collo a listino doppio alla Mao; a fascia rigida
con un bottone a livello della pistagna alla clargyman; a listino con
abbottonatura laterale alla russa realizzata nei colori discreti del cashmere
inglese e durata solo qualche stagione; colli aperti con revers ad imitazione
della camicia detta alla Robespierre. |