ALBORI NASCITA RINASCIMENTO BAROCCO OTTOCENTO NOVECENTO

Prefazione

La camicia è uno degli indumenti più antichi che ha subito più variazioni nel corso dei secoli restando, però, sostanzialmente, sempre uguale nell’impostazione di fondo. E’ per questo che è sempre stata, e presumibilmente continuerà ad esserlo, il capo più importante nel guardaroba maschile.
Sono almeno dodici secoli che la camicia accompagna l’uomo nella sua giornata, assumendo nel tempo diversi ruoli e differenti significati: segno di eleganza, simbolo di nobiltà o appartenenza ad uno schieramento politico, dono galante o diplomatico. Insomma, l’uso quotidiano della camicia l’ha resa elemento indispensabile del "vestire civile".
La sua importanza si può desumere anche dai tanti modi di dire, più o meno salaci, giunti a noi sin dal Duecento, di cui la camicia è protagonista. "Nato con la camicia" che sta ad indicare un uomo estremamente fortunato, oppure "rimasto in camicia" come ultimo bene del povero prima della rovina completa o, ancora, l’espressione del gergo popolare "sono culo e camicia" che sta a significare un’amicizia stretta ed intrigante fra due persone. Infine "sudare sette camicie" che esprime la fatica per ottenere un qualsivoglia risultato, è un’espressione che, documentata nelle cronache del Trecento forse deriva dal conteggiare alla servitù, insieme al salario di pochi soldi, una o due camicie di tela grezza.
E così, da antiche cronache, risulta essere la camicia "dono d’amore"; le fanciulle le ricamavano e poi le donavano allo sposo come dono di nozze.
Nel periodo rinascimentale invalse l’uso tra i cavalieri che partecipavano ai tornei di indossare sulla corazza una camicia donata dalla propria dama. Al termine veniva restituita quale messaggio d’amore se indossata dal vincitore, quale messaggio di morte, se macchiata del sangue dello sconfitto.
Narrano ancora cronache medioevali che i Genovesi donassero ai mercanti orientali, in visita alla Repubblica, camicie di lino finissimo ed altre in "tela d’Olanda" da portare al Khan di Tartaria. La camicia, così, diviene strumento diplomatico e nello stesso tempo oggetto di piacere. Ma, purtroppo, in alcuni casi dolorosi, diviene strumento di sofferenza, come nel XVI secolo, durante la caccia alle streghe, in cui fu in voga la "camicia ardente", che, intrisa di zolfo, veniva fatta indossare ai condannati al rogo, fino a giungere a tempi non troppo remoti con la ben nota "camicia di forza".
E per rimarcare ancor di più la sua particolare importanza, la camicia è stata usata dagli uomini per sottolineare le differenze di classe. Tra il XVI ed il XVII secolo segni di questa distinzione sono il giustacuore senza bottoni, la veste slacciata, la scollatura a V ed ancora i candidi polsini che distinguevano il signore dal lavoratore in quanto chi li indossava non aveva certo modo di sporcarsi le mani.
La camicia, poi, negli ultimi centocinquanta anni ha assunto anche un significato politico a seconda del colore che più si allontanava dal bianco. Basta ricordare le gloriose "camicie rosse" dei garibaldini, quelle azzurre dei nazionalisti italiani e dei Franchisti spagnoli; quelle nere mussoliniane e quelle brune naziste, di cattiva memoria. Altresì non possiamo dimenticare il movimento dei "descamisados" sudamericani che si vollero chiamare così per sottolineare la loro disperata mancanza di tutto e la Guayabera di Cuba, divenuta un vessillo della nomenklatura politica.E per finire, nemmeno la gastronomia ha potuto sottrarsi al fascino di questo indumento: nasce così l’"uovo in camicia", un raffinato modo per cuocere le uova. Candido e lucente, l’albume avvolge il tuorlo come una camicia e, come sempre, il bello sta nell’aprire questo involucro.
                                                                        
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GLI ALBORI DELLA CAMICIA

Anche la camicia ha avuto un’antenata: è la tunica romana (tunica interior) di lino, nel suo colore naturale, provvista di maniche, che appare in Roma nei primi anni del III secolo d.C. Si tratta di un indumento ampio, fermato da una cintura e che si indossa direttamente sulla pelle infilandolo dalla testa.
Le lunghe migrazioni dal Nord al Sud che contraddistinguono l’Alto Medioevo, le guerre, le invasioni, determinarono sicuramente il successo della "interula" romana, la camicia. Sembra infatti che i barbari arrivati con le loro scorrerie nei territori romani, stanchi e sporchi, oltre al piacere delle terme apprezzassero quello di indossare la tunica interior.
A definire le sue caratteristiche stilistiche, poco ci aiutano le fonti iconografiche dell’epoca, perché scarsissime. Più esaurienti si presentano le fonti scritte. Dal Codice Barese, ad esempio, è possibile rilevare la presenza della camicia nella vita quotidiana delle diverse classi sociali.
Essenzialmente l’interula maschile era un indumento lungo sino a metà coscia con maniche
larghe, tagliate in un solo pezzo, che arrivavano sino ai polsi. Il tessuto usato è di solito una tela di lino, dal più pesante al glizzum sottilissimo fino alla trasparenza, da cui deriva il nome "glizzinae" che sta ad indicare, appunto, le camicie che furono indossate anche da Carlo Magno e dai cavalieri della sua corte.
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NASCE LA CAMICIA

Già alla fine del VIII Secolo, nel lascito del Patriarca Fortunato ai suoi chierici di Grado, si parla di camicas et bragas. E così il termine camicia è entrato nel lessico e nelle abitudini dell’uomo. I crociati, poi, importano dall’Oriente il camis, usato dai persiani, con le maniche tagliate separatamente e cucite al corpo nei due spacchi verticali, alla fine della scollatura, che diverrà la struttura definitiva della camicia.
In questo periodo le camicie si confezionano in casa, si cambiano raramente, talvolta si donano o si rubano, a dimostrazione che il portare la camicia è considerato da tutti un bisogno ed un piacere.
Un rinnovamento decisivo nel modo di vestire, unito all’uso dei tessuti tra i più diversi, prende avvio a partire dal XII Secolo: al Nord con l’affermarsi dei Comuni, al Sud con la dominazione dei Normanni e degli Svevi. Nella corte di Palermo e Messina durante il regno di Enrico IV, padre di Federico II, la tessitura della seta e la confezione delle tuniche e delle clamidi sono soggette al segreto più assoluto. Qui il lavoro dei tessitori, considerati veri artisti, si svolge in un’atmosfera di mistero. Diverso è il clima che si respira nelle città divenute cosmopolite fin dalla prima crociata. In questi anni gli uomini portano ancora l’interula che, nel tempo, si è accorciata sino al ginocchio.
I tessuti per le camicie, oltre al lino, vedono l’uso del guarnello un cotone leggero, e del dubletto lino misto a cotone o bambagia. I modelli sono privi di abbottonatura, con ampie increspature sulle spalle, mentre gli orli dei polsi e delle scollature sono rifinite con
frescature. Per quanto riguarda Federico II, i suoi abiti rispondono alle esigenze dei suoi vari impegni di Re, poeta, soldato, uomo di mondo. Nelle poche iconografie che lo raffigurano indossa la dalmatica una lunga tunica con le maniche aderenti usata dagli imperatori d’Oriente, il loros una sopraveste riccamente ricamata, la sciarpa gemmata ed, infine, un gran mantello finemente lavorato. Ma fuori delle grandi cerimonie anche l’imperatore segue la moda del momento e così veste con la camicia ed il surcotto, una sopraveste senza maniche chiusa con una cintura di metallo prezioso, dalla quale pende un ulteriore indumento lungo fino all’orlo della veste. Anche gli uomini che lo accompagnano nella caccia, come si evince dalle miniature dell’opera "De arte venandi", sono avvolti in tuniche di diversi colori sotto le quali s’intravedono una camicia gialla, una corta tunica azzurra e lunghe calze-brache, una novità del tempo.

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IL RINASCIMENTO

Anche nel periodo rinascimentale, le fonti in grado di fornire informazioni sull’uso della camicia sono gli inventari ed i testamenti nei quali è possibile trovare descrizioni delle fogge, dei tessuti e degli stili più in voga. A partire però dal Trecento, ci vengono in aiuto anche le fonti iconografiche. E accanto a queste vanno citate opere letterarie che, denunciando la stravaganza della moda del tempo, hanno tramandato la descrizione d’abiti e comportamenti che sarebbero per noi rimasti ignoti. Il Boccaccio, per esempio, nel Decamerone descrive uomini e donne sorpresi in camicia in situazioni piccanti, mentre nel commento della Divina Commedia deplora l’indecenza di certi modi di vestire dei giovani. Il motivo dello scandalo sta nel fatto che la camicia, che sino al secolo scorso aveva rappresentato il capo base per gli uomini, si è sempre più accorciata aderendo al busto ed ai fianchi, chiusa da una lunga fila di bottoni, cosicché le gambe e le cosce, rimaste nude del tutto, sono state coperte da aderentissime calze-brache, che, allacciate sotto il farsetto, mettono in risalto le parti del corpo maschile ritenute indecenti. Con la crescente agiatezza, il lusso diventa una forma d’ostentazione sociale soprattutto nell’abbigliamento e, di conseguenza, la camicia aumenta la sua presenza nei corredi personali impreziosendosi sia nella struttura, sia negli ornamenti. Si utilizzano tessuti sempre più leggeri, si allargano le maniche e, per mezzo di teli inseriti nei fianchi, aumenta l’ampiezza della camicia, trattenuta allo scollo e all’attaccatura delle maniche con pieghe piatte e arricciature più o meno fitte. Il bordo delle maniche e lo scollo, allacciati da cordoncini o nastri di tessuto, si ornano di fregi e ricami. Con gli scambi commerciali che favoriscono incontri sempre più frequenti tra i diversi paesi d’Europa, tutti produttori di una vasta gamma di tessuti, è la camicia l’indumento al quale si destinano quelli più particolari e fini. Anche le forme delle camicie cominciano a differenziarsi nei vari paesi, cosicché troviamo citate nel XIII e XIV Secolo camicie francesche o camicie ad modum francorum e camicie con maniche larghe alla catalana.
La diffusione della camicia risponde anche ad un’altra esigenza per così dire "igienica".
L’abitudine di cambiare una volta la settimana la biancheria, testimoniata dai cronisti del Quattrocento, non sta a significare che uomini e donne del periodo badassero molto all’igiene personale. Mani e viso si lavano quel tanto che basta per non apparire luridi agli occhi di familiari e amici, ma potevano trascorrere mesi, se non addirittura un anno solare, prima che il corpo fosse adeguatamente lavato. Ebbene la camicia, secondo la medicina del tempo, avrebbe assorbito gli umori, senza alterare l’equilibrio delle secrezioni corporali.
A Firenze, come a Milano o Napoli, le maniche del saio sono tagliate nella parte esterna dall’omero al polso lungo il gomito, sia per facilitare i movimenti del braccio, sia per lasciare uscire le maniche della camicia, sulle quali si vanno perfezionando le rifiniture. D’altro canto gli indumenti si vanno aprendo sul davanti, mostrando i particolari della camicia sottostante che diventano sempre più ricercati e preziosi. Lo scollo, regolato da sottili cordoncini di seta nera o di filo dorato, come pure le aperture sul petto, s’impreziosiscono di arricciature, galloni e fresature.
Le camicie, uscite oramai allo scoperto, assumono una funzione estetica sempre più rilevante ed alcune città italiane diventano famose per la confezione di modelli di rara bellezza, ma nello stesso tempo la raffinatezza dei tessuti e dei ricami in filo d’oro, d’argento e di seta, fanno sì che le camicie diventino anche più costose. E’ il caso, per esempio, di Venezia, dove per le nozze della nobildonna Lucieta Grandenigo, nel 1537, compare addirittura una camixa de oro con due perle per le quali erano stati spesi 11 ducati e 11 grani, ed una camixa de oro et de seta cremexina stimata 15 ducati. Come scrive Francesco Sansovino "veramente non si può dire qual sia la ricchezza delle vestimenta e delle biancherie di lino delle donne Viniziane". Ed ancora Lucrezia Borgia, andata sposa di Alfonso I d’Este nel 1502, aveva nel corredo 200 camicie, alcune delle quali del valore di 100 ducati l’una. Le novità della seconda metà del Cinquecento si rivolgono al colletto. Intorno allo scollo compaiono piccole arricciature che assomigliano a leggeri volant o collettini piatti che i francesi definiscono "a l’italienne", colletto usato soprattutto dagli uomini d’affari e dagli addetti alle cariche pubbliche. Nelle grandi cerimonie pubbliche o private, il colletto, in Italia, prende il nome di "lattuga", confezionata in tela di lino, rifinita in pizzi di Bruges o con semplici punte a merletto; la striscia di tessuto più o meno arricciato od ondulato cucito intorno allo scollo ed anche ai polsi, ricorda, infatti, la forma delle foglie della lattuga. Per mantenere il suo assetto e le ondulazioni, la lattuga comincia ad essere inamidata a caldo. A metà del XVI Secolo il colletto a striscia verticale si trasforma in collo rovesciato a bavero ed, infine, nella "gorgiera", che diviene subito il nuovo simbolo della più raffinata signorilità. La gorgiera, ampia a cannoli rigidi fino ad assumere le dimensioni di una ruota di mulino e richiedere l’impiego di molti metri di lino, nasce in Italia, anche se il nome deriva dal francese gorle (gola). E’ un colletto così importante che si stacca ben presto dallo scollo della camicia per divenire un accessorio a parte. In Germania le gorgiere sono impacchettate ed inamidate; per mantenerle ancora più rigide si fa passare nel bordo esterno un filo di ferro nascosto da un cordoncino di seta. La tecnica dell’inamidatura toglie alla gorgiera l’eccessiva rigidità del filo di ferro e le conferisce un aspetto, per così dire, più disinvolto. Nasce, così, un nuovo mestiere, quello delle stiratrici-inamidatrici, mentre gli argentieri, per permettere di mangiare a tutti coloro che usano questo scomodo, ma ambito collare, sono costretti ad allungare i manici dei cucchiai. Lavata ed inamidata ogni qual volta che viene indossata, la gorgiera, per il suo ingombro esagerato, è usata solo nelle occasioni di parata e nei ritratti ufficiali. Finalmente, intorno al 1620, ideato dal farsettaio personale di Filippo IV di Spagna e dell’infante Carlos, entra nell’uso comune un colletto piatto, con punte squadrate, una leggera fodera in taffettà azzurro, rifinito con pizzi italiani, francesi o fiamminghi, rialzato sul dietro da una sottile anima di metallo. Si affermano, insomma, accolti con sollievo generale, modelli più semplici e razionali, più adatti ai viaggi, alla vita di città e di campagna. L’uso della "collaretta" è un nuovo stile più consono alla concezione del vestire civile, che, insieme alla "parrucca", caratterizzerà l’abbigliamento di un periodo lungo due secoli: l’età barocca.

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IL BAROCCO

I punti di cucitura

Se l’abito non fa il monaco, la camicia fa il signore. Ed è proprio nel Settecento che tale affermazione trova pieno riscontro, poiché, impeccabile nel candore e nella stiratura, morbida nei tessuti e voluttuosa negli ornamenti, la camicia è perfetta per il ruolo leggiadro voluto dallo stile rococò. Nella prima metà del 1600, i cambiamenti più rilevanti per la camicia, divenuta oramai un capo d’abbigliamento autonomo, avvengono nel campo della lavorazione. In essa, confezionata con gli stessi tessuti e impreziosita da collari ricamati di fili d’oro o di ricami fatti a mano, s’insiste su i più svariati punti di cucitura ad ago: spilatura, mezza arca, scherzo, rizzo, arca, sole. Ma anche i ricami ad ago diventano sempre più di moda e nelle più sperdute località dell’Italia meridionale, e persino nei conventi di clausura, nel tentativo di imitare il punto in aere che aveva resa famosa Venezia, si eseguono ornati di punto spagnolo, trovato, africo, tondo, ombrato, castiglio. Intorno al 1630, solo per l’abbigliamento maschile, è adottato un nuovo termine: il vestito. Esso si compone dei calzoni alla spagnola, gonfi di pieghe, stretti al ginocchio da nastri e coccarde e chiusi di fianco da una lunga bottoniera, dal giubbone e dalla casacca. Il giubbone, sempre più corto, è portato aperto in modo da mostrare la camicia, perché gli uomini " vogliono che si sappia c’hanno la camicia di lino finissimo". Anche la casacca, svasata, lunga fino alla coscia ed arricchita di abbottonature e ornamenti, accorcia sempre più le maniche per mettere in risalto quelle della camicia, che, a loro volta, divengono sempre più ampie e lunghe, dai polsi ricascanti in alte gale trattenute sul braccio da fiocchi e nastri in tinte contrastanti con il giubbone e la casacca. D’altro canto, in questo primo quarto di secolo, la collaretta, perso l’aspetto di "mensola ornata", spesso bordata di pizzo o tutta di pizzo, si adagia sul busto ricoprendo le spalle e si apre sul davanti in due baveri squadrati. Continuando nella sua evoluzione, verso la metà del XVII secolo, il collo comincia a perdere d’importanza, spostandosi in avanti e cadendo in due lunghi baveri ornati di pizzo: è il collo detto a rabat indossato, ancora oggi, dai pastori protestanti. A dimostrazione dell’importanza che in questo secolo aveva assunto la camicia, ci piace ricordare quello che avveniva alla corte di Luigi XIV, salito al trono di Francia nel 1643. In questo periodo in cui i regni estendevano i loro domini anche al di là dell’Atlantico, i Re di Francia avevano intuito che, per tenere sottomessi gli aristocratici, bisognava assuefarli al lusso della corte e alla corsa dei privilegi. In questo modo i cortigiani si impoverivano sempre di più per reggere al passo del fasto della corte e per ottenere i favori che il Re concedeva loro per legarli a sé. E appunto in questa vicenda, la camicia ebbe un ruolo molto importante. Uno dei momenti più intimi della corte era "il laver du roi". La vestizione di Luigi XIV divenne una vera cerimonia quotidiana: al risveglio del sovrano, nella stessa camera da letto, ad un nobile di rango veniva fatto obbligo e concesso l’onore di presentare la camicia che il Re doveva indossare in quel giorno. Egli così si affrancava, almeno per quella giornata, dal tradimento di chi aveva svolto questo incarico.

Il punto di Francia

Riprendendo la storia dell’evoluzione della camicia, avevamo già notato che, oltre ai punti di lavorazione, grande importanza hanno avuto nell’inizio del XVII secolo i ricami, che rappresentano il completamento indispensabile per sottolineare l’eleganza maschile. La concorrenza in questo campo tra la Francia e l’Italia si fa sempre più spietata al punto che, nel 1625, Luigi XIV tenta di far brevettare, ma senza successo, il "punto di Francia". Nel 1669 il ministro Colbert fa arrivare segretamente a Parigi un gruppo di merlettaie veneziane che vengono sistemate ad Alençon. Ben presto ne seguono altre a Chantilly, Sedan e Reims, dove la produzione assume caratteri di originalità in concorrenza con Venezia. Nasce così, finalmente, "il punto di Francia" ed è subito un successo. A nulla valgono i vari tentativi del Senato Veneto volti a contrastare il trasferimento delle merlettaie venete in un paese straniero; si ordina alle stesse di tornare in patria promettendo loro il perdono, si imprigionano i parenti, si incaricano emissari persino di ucciderle, ma il decreto del Senato, nonostante la sua durezza, non fornisce il risultato che si prefiggeva.

La moda francese

La Francia, quindi, esporta in tutta Europa i più bei pizzi per camicie, cosicché è la moda francese a fissare i canoni dell’eleganza in campo maschile e femminile: "L’abit a la francaise" arriva a Venezia con il nome di velada, a Milano diventa marsina, a Napoli è noto come giamberga. L’abito in questione è la giacca seicentesca a falde squadrate avanti e dietro, abbottonata dal collo al bordo inferiore, che si indossa aperta per mostrare la camisiola un gilet lungo e ricamato, e la camicia. I calzoni, dello stesso tessuto della marsina, diventano più aderenti, fermati al ginocchio da fibbie e bottoni. La moda di questi anni, che si ispira allo stile di vita di Parigi e Napoli, si arricchisce delle famose sete di Lione, broccati dai toni delicati, fioriti e arabescati, mentre le maniche della camicia, grazie a ricchi manichetti di pizzo applicati ai polsi, si allungano sempre di più. La passione dei pizzi e delle trine primeggia fino alla rivoluzione francese. Erano così abbondanti che sembravano racchiudere in una vaporosa schiuma metà dell’avambraccio. Il gusto per questo ricercatissimo ornamento, che per molti era una spesa insopportabile, tanto che a Venezia si usava dire che "quel che non va in busto va in manega", si era trasformato in una passione sfrenata per cui anche gli uomini più compassati come gli austeri magistrati non si sottraevano a questa debolezza, riservando per i merletti sino a 15.000 o 20.000 livus. Intanto la cravatta, apparsa all’inizio del secolo al collo dei soldati prima e dei gentiluomini poi, offuscata per breve tempo a cavallo del XVII e XVIII Secolo dallo jabot realizzato in pizzo, in mussola di lino pieghettata o in seta arricciata, bordato di trina, fissato al collo con un nastrino o con una spilla e ricadente in morbidi volants, modifica il colletto della camicia che diventa una pistagna attorno alla quale si avvolge con un solo giro alla Steinkerque, oppure con più giri, una "sottilissima benda", come la definisce Parini, ricadente sul petto in una cascata di merletti.

La camicia e l’igiene

Da quando la camicia è comparsa nella storia dell’abbigliamento, anche il galateo l’ha sempre accompagnata, stabilendo il suo uso a seconda delle diversificazioni sociali, ambientali e, soprattutto, igieniche. Come già in precedenza accennato, la pulizia corporale era tenuta in scarsissima considerazione, nonostante i precetti del galateo, per cui la camicia che sembrava proteggere la pelle dalle vesti, in realtà proteggeva queste da quella. Le preziose stoffe degli abiti rinascimentali erano riparate con la camicia dalla pelle sudicia del corpo mal lavato. A parte le ben note terme romane, esistevano nel Medioevo, i bagni pubblici chiamati "stufe". Erano bagni di vapore corredati di tinozze dove, coperti da camicioni lunghi fino ai piedi, con o senza maniche, chiamati camicie da bagno, potevano accedere tutti, volgo o patriziato, naturalmente a ore e giorni diversi. All’inizio del XVI Secolo le stufe pubbliche vennero chiuse, sia per ragioni igieniche, per evitare un possibile contagio di pestilenze, sia per ragioni morali. Ancora nel 1672 un gentiluomo inviava alla sua donna in Germania un pacco di sapone allegando, per sicurezza, le istruzioni per l’uso. E così le camicie ricche, ricamate e ingioiellate, per coprire i cattivi odori personali, anziché usare la semplice acqua, divennero profumatissime, usando profumi di ogni genere. I risultati, però, sembrano essere stati quasi nulli se la marchesa di Verneuil, favorita di Enrico IV, all’avvicinarsi del Re, girandosi dall’altra parte, esclamava "che puzza!" Già agli inizi del Settecento, con i corredi personali sempre più ricchi di camicie, il galateo prescrive che esse siano bianche, morbide, fresche, mentre i maestri di belle maniere raccomandano ai giovani cavalieri il candore delle camicie e la pulizia del corpo. Per ottenere ciò non c’era che un sistema: lavarsi e lavare le camicie frequentemente. Da uno studio condotto sull’igiene nei primi dell’Ottocento, si afferma che per le istituzioni sociali il bucato è al primo posto. Tuttavia per tutto il XVIII° Secolo, per i più, lavare la biancheria in casa era un’usanza barbara. Per questo la maggior parte dei parigini la inviava in Olanda, patria dell’inamidatura, ritenendo i suoi abitanti più esperti delle lavandaie francesi. Altri invece, come la Duchessa del Tirolo, mandavano le loro camicie a Firenze presso i conventi delle monache, mentre i più raffinati gentiluomini affidavano camicie e colli agli specialisti londinesi. Con le lavanderine olandesi, nostrane e londinesi, ritenute le migliori, nasce, così, un nuovo mestiere. In Francia, alla fine del XVIII Secolo, da questo lavoro artigianale, con l’introduzione del bucato a vapore, importato dall’oriente, dopo i necessari perfezionamenti, si aprono le prime lavanderie industriali dove la biancheria, inzuppata da liscivia, è sottoposta per otto ore all’azione del vapore acqueo.

La moda inglese

Contemporaneamente all’affermarsi della cravatta, il gilet va man mano chiudendosi abbottonato sul petto ed i polsini si ridimensionano in brevi volant, nascondendo in parte la camicia. Dopo il 1750, lo sfarzoso abit a la francaise è riservato alle grandi occasioni ed è la moda inglese che comincia ad interessare gli uomini. L’ingombrante marsina cede il posto al frac ed alla rendigote, l’inglese riding-coat, abito usato per cavalcare. La vita di città, divenuta più dinamica, comporta abiti più comodi, anche se ancora ricercati nei tessuti e nei colori. Fino al termine del Settecento le informazioni sulla camicia ci sono pervenute accidentalmente da riferimenti iconografici, da brani letterari e da commenti per lo più satirici. Tutto ciò ha comportato che il filo della narrazione storica sia pieno di lacune e d’informazioni contraddittorie, ma, finalmente, da ora in poi la situazione cambia totalmente. Le informazioni sulla moda femminile prima, e quella maschile poi, corrono più veloci grazie alla diffusione dei giornali e delle riviste che partono da Parigi, ma che si stampano anche a Milano e a Londra e, sulle prime riviste riservate alla moda maschile, la camicia diventa un argomento da discutere con competenza. Il "giornale delle nuove mode di Francia e Inghilterra", stampato anche a Milano nel 1786, ad esempio, così descrive i capi maschili: "Abiti di panno color foglia morta, foderati di verde con altissimo colletto di velluto di seta verde naturale, si indossano con camicia guarnita da una larghissima portina e di lunghi manichetti". Sullo stesso giornale, l’anno successivo, si legge: "Abito e giubba di leggero velluto color cedro con pantaloni di seta nera e camicia guarnita di pizzi". "La camicia- continua la rivista- è guarnita di manichetti e di una gala di batista increspata come è di moda in Inghilterra". Mentre sulle riviste di moda l’attenzione si concentra sui particolari, la Rivoluzione Francese spazza via ciprie, ornamenti, parrucche, teste di re e aristocratici condotti alla ghigliottina in maniche di camicia, mentre per le vie di Parigi scorrazzano i sanculotti al grido di libertè egalitè fraternitè, con addosso, sotto il gilet o la carmagnola, una camicia di cotone, con il collo a bavero, senza cravatta e ornamenti di trina. Questo collo a bavero fu detto alla Robespierre non si sa bene se perché era il preferito dal padre della rivoluzione, o se perché, in onore dell’Incorruttibile, il boia lo strappava ai condannati prima di ghigliottinarli.

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L'OTTOCENTO

La borghesia ed il perbenismo

Con la rivoluzione Francese prima, e con l’avvento della repubblica poi, si assiste ad una trasformazione radicale della moda maschile. Importata dalla Francia e dall’Inghilterra, la moda anglo-alleman viene adottata in seguito anche dal resto d’Europa. L’abito di gala o di spada, anche se di color nero, viene messo da parte: niente più pizzi o jabot, condannati definitivamente dalle maniche del nuovo frac divenute più strette e dall’abbottonatura alta dei panciotti, ma, soprattutto, dal senso di pudore che aveva invaso la società borghese sovrappostasi alla classe degli aristocratici che aveva dominato il mondo per oltre sette secoli.
Mentre l’atteggiamento verso la biancheria personale fino al tramonto dell’"anciem règime" era stato frivolo e scherzoso, un argomento per battute e lazzi non sempre galanti, la borghesia, che, per una esagerata e nello stesso tempo inconscia paura della sessualità, ha del suo corpo un’idea meno gioiosa, osserva tutto ciò che si riferisce al suo corpo da un’opposta angolazione. Il tabù all’istinto sessuale si estende anche ad ogni indumento e la biancheria, in particolare quella femminile, si nasconde dietro molti silenzi e reticenze. La camicia maschile, a sua volta, subendo la stessa sorte, ritorna ad essere un semplice capo di biancheria da esibire solo lo stretto necessario, cioè ai polsi, al collo e un po’ sul davanti. Così lo sparato della camicia, specialmente nel periodo Romantico, rimane coperto quasi del tutto dai gilet e dalle giacche abbottonate fino al primo bottone che, a sua volta, è nascosto dall’ingombrante fiocco della cravatta.
La camicia, nei primi anni del secolo, si presenta più lunga dietro di sei centimetri e con due spacchi laterali, già visti negli affreschi di Piero della Francesca, che da squadrati diventano rotondi. Sulle spalle si arricchisce di una striscia di tessuto, larga circa cinque centimetri, atta a mantenere la stabilità delle maniche, antenata di quella in uso ancor oggi che, ampliandosi sulla schiena, prende il nome di sprone.
L’abbottonatura termina con una linguetta che con un’asola ferma la camicia ad un bottone delle mutande; a volte, quando lo sparato ricamato ed inamidato nelle camicie da ballo, per un equilibrio estetico, non permette tagli di apertura, può essere posizionato nel dietro. Al contrario, se la camicia, per renderla più comoda, è aperta sul davanti, lo sparato presenta diverse pieghettature che sostituiscono i ricami: pieghe piatte, abbassate e rivoltate come un ventaglio, si alternano a pieghe più larghe, appiattite dall’inamidatura. Altra piegatura, la più richiesta da chi segue la moda, è quella detta "a papier de musique", cinque piccole pieghe seguite da una più larga in modo da ricordare il rigo musicale.
Le cose cambiano solo dopo la metà del secolo, quando l’abbottonatura del gilet e della giacca da sera, aprendosi sino al secondo ed eccezionalmente al terzo bottone, le permettono un più ampio respiro. D’altra parte la stessa abbottonatura della giacca in estate diviene più bassa e lascia intravedere la camicia con più generosità.
All’uomo che lavora, i sarti, ma anche l’industria di confezioni, offrono soluzioni più funzionali per i ritmi della vita cittadina. La camicia di tutti i giorni presenta il solino, un colletto staccabile basso e rovesciato con le punte arrotondate, oppure doppio e con punte ravvicinate, rigido perché inamidato, e facilmente sostituibile. Esso, infatti, si attacca con speciali bottoni a perno alle due asole poste sul davanti e sul dietro della pistagna.
Neppure i polsi furono risparmiati dalle invettive del falso pudore del primo Ottocento: scompare, sotto le severe e strette maniche della marsina, anche la breve linea dei polsi più semplici, ritenuta antidemocratica perché distingue i gentleman dai comuni lavoratori. In seguito, come è avvenuto per i colli, anche i polsi, sempre inamidati e lucidi, si rendono sostituibili con bottoni a perno.

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IL NOVECENTO

I colletti bianchi

Il desiderio del ceto piccolo borghese, specialmente del centro-meridione d’Italia, fu, a partire dall’Unità del Regno, quello di entrare nell’apparato statale e bancario. La nuova classe sociale che si andò formando fu detta "dei colletti bianchi". Non si poteva concepire, infatti, che nei ministeri e nelle banche ci si presentasse senza giacca e camicia bianca; fu molto facile identificare il "colletto bianco" con l’impiegato che si muove nel mondo impiegatizio.
Contemporaneamente negli uffici, lo riportiamo a solo titolo di cronaca, si diffusero le "mezze maniche" divenute in seguito il triste e mortificante simbolo dell’impiegato d’ordine, del cosiddetto "travet". Costui, per risparmiare la camicia, comincia ad usare dei coprimanica che sono assicurati con elastici all’altezza del gomito.

I primi colori

Finalmente, con la fine del secolo e gli inizi del Novecento, la camicia, che va riconquistando la dignità che le compete e la funzione più esplicita di capo base dell’abbigliamento maschile, tanto da far scrivere ad Oscar Wilde (1854 – 1900) " l’eleganza si concentra nella camicia", abbandona il tradizionale candore bianco e si tinge delle prime sfumature di colore, grazie anche all’affermazione dei tessuti di cotone.
Sotto la giacchetta di linea dritta e senza falde fa capolino una camicia di flanella a piccoli disegni colorati che, adattandosi alle nuove esigenze di vita, accetta colori che vanno dall’avorio alle tenui tinte pastello: i gialli, gli azzurri chiari, i verdi pallidi, i rosa teneri.

La camicia protagonista

In questo nuovo secolo il ciclo delle attività professionali e familiari comporta un diverso consumo fra tempo libero e impegni economici. Mentre la camicia tradizionale, candida e inamidata, con colletti alti e polsi rovesciati chiusi da preziosi gemelli, indossata dal borghese con compostezza e sufficienza, resiste sotto il frac nelle occasioni mondane, nel vestiario usato per la villeggiatura o negli sports s’impongono modifiche che offrono maggiore comfort e disinvoltura salvando, nello stesso tempo, il bon ton.
Così la moda scopre colletti morbidi per camicie in flanella rigate o quadrettate adatte all’alpinismo o di jersey di cotone o lana per la vela ed il canottaggio.
E proprio alla fine della "Belle Epoque" la camicia, oramai protagonista, si avvicina al nuovo mezzo di comunicazione: la pubblicità, divenuta in seguito una vera scienza. L’uomo, sempre in manica di camicia, dalla foggia, dai colori e dagli usi più diversi, propone oggetti e prodotti di qualsiasi genere.
Da questo momento in poi la camicia non si può considerare più come un semplice accessorio del vestito maschile, ma, con il moltiplicarsi dei modelli, dei colori e dei particolari, diviene autonoma e, soprattutto nei momenti di sport e di tempo libero, si libera della giacca. Nelle stagioni fredde si copre di un maglione di lana spuntando solo al collo ed ai polsi.

Le americane

Per i particolari della sua foggia dobbiamo rifarci alle camicie militari americane della seconda guerra mondiale, vendute sulle bancarelle a poco prezzo e spesso usate che, nel colorito dialetto triestino, furono dette "american strassen". I nostri stilisti e produttori di camicie, subito e volentieri, per la sua praticità derivante dai molteplici lacci, tasche, taschini, spalline e linguette, la adottarono per la moda sportiva e poco tempo dopo, rivolgendosi specialmente ai giovani, sfornarono capi che con l’originale americano non avevano più niente in comune, ad eccezione della comodità e della varietà d’accessori.
Sempre dagli USA, insieme alla musica folk ed i films western, arrivano le camicie dei cow boys, utili per ogni uso, di cotone o flanella, a scacchi coloratissimi, con tasche e borchie, colli aperti e pieghe sul dorso. Non sono certamente belle né eleganti, ma sicuramente pratiche, giovanili, spiritose. Prese a modello dai teddy boys italiani negli anni cinquanta perché usate da quella fascia ribelle di giovani americani, le troviamo nel ’70 coloratissime, a scacchi, a quadretti o scozzesi, indossate sopra gli insostituibili jeans per andare all’università o per correre in moto. Si acquistano in ogni luogo, nei mercati, nei grandi magazzini, nei negozi cosiddetti "giovani" e, infine, nei negozi d’articoli sportivi dove trovano la giusta collocazione.
Verso gli anni ’80 era di moda sugli schermi un serial imperniato sui ricordi del veterinario inglese James Herriot. Il suo notevole gradimento non era dovuto solo alla trama, ma anche all’abbigliamento dei personaggi curato sino nei minimi particolari, tant’è che il ceto sociale o la professione dei protagonisti era riconoscibile a prima vista. Tuttavia ciascun personaggio aveva in comune una particolare camicia caratteristica delle campagna inglese. Di colore bianco panna e talvolta beige, ha come peculiarità, le righe incrociate color marrone, verde, azzurro, nero e vinaccia che insieme formano il quadro detto "Tattersall", definizione che sembra riallacciarsi alle coperte che coprivano i cavalli della scuderia di Richard Tattersall. Oggi il Tattersall check è entrato a pieno titolo a far parte dell’abbigliamento sportivo, soprattutto autunnale ed invernale.
Gli americani, poi, adottarono il quadretto tipicamente inglese ad una camicia che prese il nome di "button down collar". Questo modello, affermatosi già nei primi del Novecento e dalla fortuna quasi ininterrotta fino ai giorni nostri, ha una storia molto intrigante, ammesso che sia vera, che merita di essere raccontata nella rubrica che dedichiamo alle curiosità concernenti la camicia.

La camicia casual

Ecco infine la camicia tuttofare, adatta a mille occasioni, che gli stilisti chiameranno casual o sportswear, stretta discendente della button down, anche se ammorbidita e alleggerita nella struttura. Ma la differenza sostanziale è nel collo, dove, spariti i bottoncini, si allunga, si allarga, si allontana dal primo bottone dell’allacciatura o addirittura si elimina. Prende nomi diversi sotto l’influenza degli eventi politici e sociali del momento. Collo a listino doppio alla Mao; a fascia rigida con un bottone a livello della pistagna alla clargyman; a listino con abbottonatura laterale alla russa realizzata nei colori discreti del cashmere inglese e durata solo qualche stagione; colli aperti con revers ad imitazione della camicia detta alla Robespierre.
Altre ancora con lo sprone molto basso a formare le tasche e con la linguetta a metà della manica per tenerla ferma se viene rimboccata e quella a metà del carrè posteriore per ornamento. Quella, infine, stile mandriano in tela ecrù che si fregia d’inserti di pelle allo sprone, al collo, ed ai polsi e che, in altre ancora, si trasforma in frange alle maniche ed al carrè, ad imitazione della camicia dei cow boys.
Lo stile casual ha generato anche modelli che per il dubbio gusto sono tramontati nell’arco di una stagione e sui quali non vale la pena soffermarsi. Possiamo così porre fine alla storia della camicia che ci ha accompagnato per svariati secoli, ma ci preme chiudere con un’ultima notazione. Se l’uomo vuole essere veramente impeccabile e soprattutto sentirsi a proprio agio, sotto la giacca, indossi sempre la classica e istituzionale camicia. Che non manchi mai nel suo guardaroba e che la sua vestibilità sia sempre perfetta e di classe. Come ci ricorda la scrittrice Vittoria De Buzzaccarini nel suo lungo e suggestivo racconto "Fior di camicia", la camicia non "deve fare una piega", ma cadere a pennello, essere curata in ogni particolare.

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